Nessuno Stato europeo potrà impedire di chiamare hamburger e salsicce i prodotti di origine vegetale. A dirlo è la Corte di giustizia dell’Unione europea, che dà ragione alle associazioni e ai produttori che sostengono l’utilizzo delle alternative vegetali alla carne.

Perché il divieto non è valido

Alla base di questa sentenza c’è il divieto del governo francese che impone di non utilizzare termini tradizionalmente associati a prodotti di origine animale per prodotti a base di proteine vegetali. Secondo la Corte Ue, questo divieto non è conforme al regolamento europeo. 

La sentenza è arrivata in risposta al ricorso intentato dall’Association Protéines France, l’Union végétarienne européenne (EVU), l’Association végétérienne de France (AVF) e la società Beyond Meat Inc. nei confronti del decreto che sarebbe dovuto entrare in vigore in Francia a maggio. A Parigi c’erano già dubbi sulla legittimità del divieto e nel 2023 il Consiglio di Stato francese si era appellato alla Corte di giustizia Ue interrogandola sulla possibilità di uno Stato membro di intervenire con questa restrizione.

Anche in Italia esiste un provvedimento del genere che vieta il cosiddetto “meat sounding” nell’ambito della legge sulla carne coltivata, tuttavia non ancora operativa in quanto sprovvista del decreto attuativo. 

Ora la risposta della Corte Ue è chiara: “Qualora non abbia adottato una denominazione legale, uno Stato membro non può impedire, mediante un divieto generale ed astratto, ai produttori di alimenti a base di proteine vegetali di adempiere, mediante l’utilizzo di denominazioni usuali o di denominazioni descrittive, l’obbligo di indicare la denominazione di tali alimenti”.

Cosa succede ora

Anche l’Italia ora dovrà uniformarsi alla sentenza della Corte europea. A sostenerlo è il Good Food Institute Europe, che ha raccolto le opinioni delle aziende di settore, dai grandi produttori alle start-up rilevando le molteplici penalizzazioni che il divieto di “meat sounding” comporta sia per l’attività di impresa sia per i consumatori.

Nella sentenza la Corte stabilisce tuttavia che “se un’autorità nazionale ritiene che le modalità concrete di vendita o di promozione di un prodotto alimentare inducano in errore il consumatore, essa potrà perseguire l’operatore del settore alimentare interessato e dimostrare che la presunzione di cui sopra è confutata”.

Ma per i consumatori il “meat sounding” non sembra essere un problema. Secondo un recente sondaggio YouGov per il Good Food Institute Europe, infatti, la maggior parte dei consumatori italiani si sente a suo agio con termini come “hamburger” e “latte” utilizzati per prodotti a base vegetale. Il 69% degli intervistati ritiene che questi nomi siano appropriati per le alternative a base vegetale, un dato importante che riflette come un ampio cambiamento culturale è in corso e si estende oltre le abitudini alimentari.

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