Il Parlamento UE fa marcia indietro sul “meat sounding”: ma i consumatori sono già avanti
Burger veg, salumi a base di proteine vegetali, alternative al latte… sono ormai parte della vita di tante persone. Non solo di persone che hanno già scelto un’alimentazione 100% vegetale, ma anche di chi vuole iniziare a mangiare in modo più sano, sostenibile e compassionevole.
Eppure, proprio mentre questo cambiamento prende sempre più forza (e gli scaffali dei supermercati ne sono la testimonianza), il Parlamento europeo ha deciso che termini come “hamburger” o “bistecca” non potranno più essere usati per prodotti a base vegetale. Una decisione accolta con entusiasmo dall’industria della zootecnia, ma che lascia l’amaro in bocca a chi immagina un futuro diverso per animali, ambiente e persone.
La marcia indietro della Corte UE
Nell’ottobre 2024 la Corte di giustizia dell’Unione europea aveva stabilito che gli Stati non potevano impedire l’uso di termini come “hamburger” o “salsiccia” per i prodotti vegetali. Era sembrata una vittoria di buon senso, perché queste parole sono ormai parte del linguaggio quotidiano dei consumatori.
Ma a distanza di pochi mesi lo scenario è cambiato: la Commissione per l’agricoltura e lo sviluppo rurale del Parlamento europeo ha votato a favore di una misura che riserva queste parole esclusivamente ai prodotti derivati da carne animale.

Secondo i promotori, questa scelta servirebbe a “proteggere” agricoltori e tradizioni culinarie. In realtà, è il segnale di quanto il settore zootecnico si senta minacciato dal crescente successo delle alternative vegetali.
Meat sounding: una questione che divide politica e consumatori
In Paesi come Francia e Italia esistono già leggi che limitano l’uso di termini che ricordano la carne per prodotti a base vegetale, anche se da noi non sono ancora entrate in vigore per mancanza dei decreti attuativi.
Secondo alcuni politici europei, come Céline Imart, capo negoziatrice del dossier:“Una bistecca è fatta di carne, punto. Usare queste denominazioni solo per la vera carne garantisce l’onestà delle etichette, protegge gli agricoltori e preserva le tradizioni culinarie”.

Ma i consumatori la pensano diversamente. Un sondaggio YouGov realizzato per il Good Food Institute Europe mostra che il 69% degli italiani ritiene appropriato usare termini come “hamburger” o “latte” anche per prodotti vegetali.
Un dato che racconta un cambiamento culturale ormai in corso, ben oltre le etichette.
Da nicchia a tendenza globale
Qualche anno fa l’offerta vegetale nei supermercati era limitata: tofu, seitan, tempeh e poco più. Oggi invece sugli scaffali troviamo una varietà enorme di burger vegetali, bevande a base di soia o avena, alternative ai formaggi e molto altro.
Il termine “plant-based” è entrato nel vocabolario comune e la ricerca non si ferma: dalla carne coltivata in laboratorio alle nuove tecnologie alimentari, il futuro del cibo si muove sempre più lontano dagli allevamenti intensivi.
Non sorprende che l’industria della carne e del latte percepisca queste innovazioni come una minaccia: da qui anche la battaglia sulle parole, che tenta di frenare un cambiamento ormai evidente.
Oltre le etichette: le nostre scelte contano
Che li chiamiamo “burger” o in qualsiasi altro modo, i prodotti vegetali restano una scelta sana, gustosa e soprattutto più giusta per gli animali e per il pianeta.
Mentre la politica discute sul “meat sounding”, ogni giorno possiamo scegliere alternative che evitano la sofferenza di milioni di animali e riducono l’impatto ambientale.
Alla fine, non è il nome a fare la differenza. Sono le nostre scelte a cambiare davvero il futuro.

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